venerdì 4 maggio 2012

DE RES PUBLICA - ET BIBLIOTECA. Intervista a Maurizio Fariello

DE RES PUBLICA - ET BIBLIOTECA
Intervista a Maurizio Fariello, responsabile della biblioteca civica di Mathi (To), a  cura di Chiara Moretti



(immagine presa dalla versione online del quotidiano Il Risveglio: http://www.ilrisveglio-online.it/politica/2012/03/29/quellincontro-biblioteca)



D: Sono con Maurizio Fariello, 57 anni, bibliotecario e responsabile dal 1999 dell’Area amministrativo - culturale del comune di Mathi: questo vuol dire che lui coordina segreteria, ufficio commercio e servizi demografici per l’area amministrativa, mentre per il settore culturale coordina l’ufficio scuola, le attività culturali e soprattutto la gestione della biblioteca. È un bel malloppo!
 La prima domanda che mi è venuta in mente leggendo il tuo curriculum è rispetto al tuo percorso formativo:  è  evidente come il sole la tua vocazione per la biblioteca perché tra corsi, seminari e convegni l’indirizzo è sempre ed esclusivamente stato quello. Prima di questo omogeneo percorso di studi e aggiornamenti invece hai ottenuto un diploma di perito aerotecnico. La domanda che ovviamente ti voglio porre è come ti è venuta la voglia di iscriverti all’università e quindi cominciare a prendere l’indirizzo dell’area culturale.

R: Quando avevo 14 anni il mio obiettivo era quello di fare il liceo scientifico; poi come succede sempre in famiglia mi venne proposto di fare una scuola che desse uno sbocco professionale, essendo i miei genitori operai, per avere un titolo di studio che permettesse di accedere subito al mondo del lavoro. Pur accettando il loro indirizzo non ho mai perso la mia vocazione umanistica, e quindi mi sono diplomato in aerotecnica, che era il corso più attinente ai miei obiettivi, alla mia voglia di capire, imparare delle cose…

D: Che sbocchi lavorativi avrebbe dato il perito aerotecnico?

R: Qui vicino abbiamo l’Aeritalia, l’Alenia…e quindi potevo avere sbocchi lavorativi in quel senso. Parlo del lontano 1974, quando mi sono diplomato: quegli anni erano anni di grandi ideali, di grandi prospettive.
 Nel 1972 è stata promulgata la legge sull’obiezione di coscienza: io avevo già intenzione comunque di obiettare al servizio militare, indipendentemente dal fatto che la legge ci fosse o meno. All’epoca chi obiettava andava in carcere a Peschiera o Gaeta e normalmente ci stava lo stesso periodo della naia. Io ho fatto la mia visita militare per l’idoneità nel gennaio 1973, la legge per l’obiezione di coscienza è del dicembre 1972; ho presentato immediatamente la mia domanda di obiezione di coscienza e nel 1975 sono partito in servizio civile per 20 mesi, in un istituto per disabili in Veneto. È proprio all’interno dell’istituto e nel lavoro di accompagnamento e inserimento di queste persone con disabilità che mi sono avvicinato alla biblioteca “dall’altra parte”: come studente l’avevo sempre vissuta come utente, ma durante il servizio civile ho cominciato a vedere un po’ dall’interno la biblioteca del Comune di Mogliano Veneto, dove era presente l’istituto per disabili. Per cui ho capito che quella era sicuramente una delle prospettive lavorative che più mi affascinava: i libri li ho sempre amati, ho sempre letto molto. Finito il servizio civile mi sono iscritto all’università, anche se non ho concluso con la laurea il percorso universitario.

D: Ho pensato che intanto avessi trovato dei percorso più specifici per avvicinarti alla professione di bibliotecario…

R: Si. Intanto io ho cominciato a studiare mentre già lavoravo, perché finito il servizio civile si aprivano delle prospettive per una nuova biblioteca a Mathi e io ho colto la palla al balzo: mi sono proposto per gestirla, ritenendo di avere già un minimo di preparazione professionale acquisita appunto durante i 20 mesi di servizio civile; e mi sono iscritto all’università, dando tutti i 20 esami ma non con la tesi. Un po’ mi manca, non aver concluso un percorso, ma a livello professionale ho intanto sviluppato molti interessi, nel senso che da quando ho cominciato a lavorare ho frequentato tutta una serie di corsi legati alla gestione delle attività culturali, all’essere operatore culturale e soprattutto a che cosa significa gestire una biblioteca. La mia condizione umanistica si è quindi espressa e si sta esprimendo tuttora nell’ambito professionale a livello di bibliotecario, anche se la preparazione tecnico-scientifica che ho di base mi ha permesso di avere sempre uno sguardo attento e particolare anche a quella che è la divulgazione scientifica (per la biblioteca cerchiamo e cerco sempre di avere uno sguardo attento anche a tutto quello che è la divulgazione per quanto riguarda la matematica, le scienze pure, e le scienze applicate, perché ritengo che sia fondamentale per una biblioteca offrire un servizio più ampio possibile).

D: I tuoi genitori come hanno preso la tua decisione di cambiare percorso di studi?

R: L’hanno presa bene perché è importante che ognuno scelga la sua strada da seguire. In realtà il mio percorso di studi l’ho scelto già quando ho iniziato a lavorare. Per cui uno sbocco professionale l’avevo già trovato; non era quello per cui avevo studiato ma a me non importava molto.

D: Forse una volta c’era di più l’idea che lavorare nel pubblico  fosse meglio, desse più garanzie rispetto a lavorare nel privato? Me lo ricordo che me lo dicevano spesso, “cerca di lavorare per il pubblico!”.

R: Non l’ho mai vissuta così, anzi, io appena ho cominciato a lavorare mi sono iscritto al sindacato perché ritenevo fosse una scelta importante. E già all’epoca, nel lontano 1974, io ero molto critico nei confronti di una serie di leggi del governo, tipo andare in pensione dopo 20 anni, sei mesi e un giorno…Oggi vediamo che quel tipo di scelte le pagano i giovani di oggi. Ero molto critico perché ritenevo che questo privilegio fosse anacronistico e semmai se ci dovevano essere scelte in questo senso probabilmente sarebbe stato più giusto che dopo 20 anni o dopo 25 anni andassero in pensione i minatori dell’amiantifera che c’era qui vicino.

D: È uscito un bell’articolo su La Stampa sui minatori dell’amiantifera di Balangero, sulla scia delle sentenze del processo Eternit, i racconti di come lavoravano. Ma andiamo avanti con le domande: tu lavori per il Comune di Mathi ma non sei legato a nessun partito? Cioè, sei anche coinvolto a livello politico nel comune?
 
R: No, io sono un funzionario e quindi sono un dipendente comunale a tutti gli effetti. Dopodiché a livello politico mi sono mosso in gioventù e continuo a muovermi ancora adesso, nel senso che chiaramente io porto con me delle idee e ciò che è stata la mia formazione.

D: Militi per…?

R: Adesso sono vicino a gruppi ecologisti, ai Verdi: il mio orientamento ovviamente guarda a sinistra. Negli anni di gioventù ho militato nel Movimento Studentesco; sono stato iscritto per un paio di anni a Democrazia Proletaria…e quindi il mio orientamento è di quella natura. A livello politico sono stato nel Movimento Non Violento, nella Lega obiettori di coscienza…

D: Per come venivano trattati gli obiettori, ci credo!

R: Quindi diciamo che le letture che mi hanno accompagnato in gioventù sono state le letture di Ghandi, Capitini, i grandi pensatori del pensiero scientifico. Io sono credente:  ho abbinato l’essere cattolico, se vogliamo usare questo termine, con uno sguardo alla scienza. la scelta non è casuale perché le organizzazioni nelle quali ho militato avevano sempre come obiettivo la difesa dei più umili, quindi in qualche modo sentivo che le due prospettive di vita viaggiavano insieme, si accompagnavano.

D: A livello politico ti sei mai candidato per qualche posizione all’interno del comune di Mathi?

R: No, di candidature non ne ho mai fatte, anche perché praticamente da quando ho cominciato a votare a 20 anni (era passato da poco la possibilità del voto ai maggiorenni e la maggiore età era 18 anni, mentre fino al 1975 si votava solo a 21 anni) non mi sono mai candidato a livello di partito o di liste politico-amministrative. Mi sono sempre occupato di politica con un gruppo spontaneo che avevamo formato qui in paese, un gruppo di giovani e ragazzi, l’avevamo chiamato Kairos.

D: C’è un gruppo musicale della zona con quel nome!

R: Si si, tra l’altro sono ragazzi che conosco molto bene! E quindi quel gruppo ha cominciato a fare politica in paese occupandosi sia della parte più vicina, quindi il comune, ma dal 1974 come gruppo avevamo anche partecipato alla campagna sulla legge per il divorzio, per il referendum.

D: Per promuoverlo?

R: La legge c’era già, era stata promosso un referendum per abrogare la legge sul divorzio, la Fortuna – Gaslini; nel 1974 quando si è andati al referendum i “no”, che erano quelli si opponevano all’abrogazione della legge, hanno vinto. E quindi la legge sul divorzio è rimasta in vigore.

D: Quindi, scusami, se non ho capito male voi cercavate di togliere o tenere il divorzio?

R: No no, di tenerlo! Noi eravamo nella campagna per il “no” al referendum.

D: Mi è venuto il dubbio, visto che sei cattolico, che tu fossi contrario al divorzio.

R: Sono cattolico ma ritengo che una serie di diritti civili siano assolutamente fondamentali. Quindi queste scelte le ho sempre difese.

D: Sei cattolico con delle aperture che si estendono fino all’aborto, o anche all’eutanasia?

R: Su aborto e eutanasia ho dei problemi che trascendono l’essere cattolico; si tratta di problematiche talmente profonde che indicano una scelta di coscienza personale, individuale. Questa scelta va rispettata a prescindere: chi abortisce in me non trova una condanna. Quello che io ritengo si debba fare di fronte a situazioni particolari come il caso di Eluana Englaro sia quello di stare in silenzio e usare tutta la misericordia e la solidarietà possibile verso le persone che stanno vivendo quel dramma. Le scene di piazza, di chi urlava contro di loro mi hanno lasciato abbastanza inorridito.

D: Certamente per loro non è stata una scelta facile, fatta a cuor leggero.

R: Certo. Va rispettata, accolta. E credo ci sia bisogno di più vicinanza e sostegno in queste cose. Dopodiché è chiaro che, come cattolico, rispetto a eutanasia e aborto mi porto dietro tutti i problemi di coscienza che credo abbia qualsiasi persona. Io non credo che il non credente si viva l’aborto in maniera diversa dal cattolico, la vive con lo stesso dramma. queste categorie cattolico- non cattolico su questi aspetti non hanno senso.

D: È anche vero che la chiesa, un po’ come la politica, dà degli indirizzi, e c’è anche chi li segue pedestremente, e chi si pone invece delle domande.

R: Credo che su questi aspetti il dubbio sia fondamentale: non ci sono risposte certe, univoche e unilaterali. Di fronte ci sono delle persone che vivono un dramma che va rispettato.

D: Mi ricordi il protagonista de “La Giuria”. Sei molto ragionevole. L’importante è farsi un’idea propria e arrivarci informandosi e sentendo tutti quanti. Torniamo al discorso politico. Per gli italiani essere un politico oggi è diventata un po’ una questione spinosa: sia in grande che in piccolo il sentore comune che c’è sempre stato è che quello della politica sia un mondo, ancora più forse quello di paese, aperto soltanto ai raccomandati e che le questioni locali, personali, si risolvano solo se si hanno le giuste conoscenze. “ vai a parlare con…”, “vai da…”, “ah, lui ti ascolta”…

R: Questa non è La politica.

D: L’ho definita politica però alla fine l’Italia più o meno è così che si comporta.

R: Certo, perché l’immagine è questa. Io sono un’idealista e mi porto dietro un’idea di politica che è la politica come servizio…

D: È un’utopia la tua!

R: Certo. Ma d’altra parte tutti i grandi pensatori e filosofi greci parlavano della politica ponendola come prospettiva utopica. Perché per ragionare di politica, per ragionare di servizi e di queste cose bisogna sempre avere di fronte l’uomo e la sua  umanità, e tutto il resto ne discende ed è una conseguenza. La politica che è affare, affarismo, complicità, conoscenza…direi che quella è l’antipolitica vera, non l’antipolitica di quelli che si lamentano di una politica che non fa politica. L’antipolitica vera, cioè il tradimento di quella che è l’essenza vera della politica è proprio questa, ovvero il fatto di avere qualcuno alle spalle per poter andare avanti. Io credo invece che la politica sia una scelta ideale, in qualsiasi campo: si possono avere idee diverse, ma se la prospettiva è quella di arrivare a trovare veramente il bene comune le sintesi si trovano. L’esempio è la nostra costituzione che è stata la sintesi, secondo me ancora insuperabile e ammirata da altri paesi del mondo, delle grandi spinte nate dalla resistenza e tre grandi filoni di pensiero che nascono tra il 700 e l’800 e arrivano fino al ‘900 (con le degenerazioni del ‘900: stalinismo, maoismo, fascismo, nazismo): il pensiero liberale, quello cattolico e quello marxista. Questi tre grandi pensieri quando sono riusciti a fare sintesi e lavorare in prospettiva hanno realizzato delle cose mirabili; ad esempio la resistenza che è stata fatta da grandi uomini: Piero Gobetti era un liberale, Gramsci era marxista, De Gasperi era un cattolico. Io credo che questa sia l’essenza della politica, pur da prospettive e idee diverse trovare la sintesi per qualcosa di positivo e più alto.

D: e la situazione reale qual è?

R: Ahimè, la situazione reale è assolutamente povera a qualsiasi livello, locale e nazionale. Se fino a un po’ di anni fa i partiti portavano con sé delle idee, delle ideologie o comunque delle prospettive di società magari alternative, ma che comunque erano radicate in idee forti, adesso i partiti sono personalizzati; basta guardare le liste dei partiti che si candidano: nella lista c’è sì il simbolo del partito o partitino, ma è sempre accompagnato da un nome. Berlusconi, Casini, Di Pietro e quant’altro. Quasi che attraverso questa personalizzazione si svuoti il senso delle idee che stanno dietro a ciò che un movimento porta. E questo secondo me veramente trascende quella che è un’idea di politica.

D: Il personaggio carismatico non deve diventare il simbolo.

R: Esatto, il partito viene identificato con quella persona, secondo me la strada parallela è stata quella di svuotare questi partiti dei grandi ideali che avevano.

D: Li cambiano di giorno in giorno!

R: Certo, e questo genera una forte confusione a livello dei cittadini. C’è un appiattimento, i cittadini non trovano più strade percorribili alternative o comunque contrapposte nelle quali identificarsi, ma nasce poi quella frase che è nella bocca di ahimè molti, che “tanto tutti sono uguali”.

D: Vien difficile pensare il contrario…attualmente…

R: Si, ma per chi ha avuto un percorso politico e ha fatto un certo percorso, una certa strada, diventa difficile ragionare in questi termini, perché secondo me le scelte di campo oggi più che mai dovrebbero essere fondamentali per capire dove stiamo andando, che prospettive vogliamo dare a noi, al paese, alle nostre relazioni e rapporti tra le persone…mi sembra che in questo senso veramente ci sia una grande confusione sotto il cielo.

D: Forse il rischio, che in realtà è una cosa che sta già avvenendo,  è che i cittadini italiani e soprattutto i giovani, anche se l’ho osservato come fenomeno trasversale, è che si disinteressino della politica; e che, oltre a non andare a votare, che già è proprio grave, non provino a mettersi in prima persona a fare delle cose. Non per forza tutti quanti iscriversi a partiti, ma, come dicevi tu rispetto alla tua gioventù, anche solo a livello locale occuparsi della propria comunità. Il senso della comunità forse si sta perdendo?

R: Si sta perdendo perché rispetto ai miei anni giovanili chiaramente i tempi sono cambiati, e quindi si è molto più puntato all’individualismo, a delle scelte che sono proprie: nei miei anni giovanili le scelte erano di prospettiva, nel senso che mi sentivo partecipe di un obiettivo che non apparteneva solo a me, ma a tanti altri, ed era una prospettiva di futuro. Il problema  della disoccupazione giovanile e dell’ingresso nel mondo del lavoro per i giovani era, seppur con connotati diversi, presente anche all’epoca; però c’era questo sentir comune e la voglia di sperimentare percorsi diversi, e soprattutto c’era quello che definivamo all’epoca  “il collettivo”, ovvero lo stare insieme per pensare a un mondo che fosse migliore e diverso. Io nel’ 68 avevo 13 anni. A 14 ho cominciato ad andare a Torino, e ricordo che partecipai ai primi cortei, ai primi scioperi al fianco degli operai della FIAT…le grandi battaglie sindacali…I cortei dell’epoca, soprattutto quelli del’69, erano di operai e studenti ed erano molto ricchi di umanità da questo punto di vista. Dopo quel periodo ci sono stati momenti che in qualche modo hanno creato una frattura e hanno fatto perdere l’innocenza: la strage di piazza Fontana è stato il primo elemento che ha scardinato una serie di certezze, di ideali, di prospettive che si avevano. D’altra parte, qualche anno dopo, le Brigate Rosse, i gruppi neofascisti e altri movimenti hanno contaminato e minato con prospettive che non possono essere condivisibili quelle grandi scelte che sono nate tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70.

D: E a Mathi com’è la situazione, attualmente, a livello politico?

R: Come in tanti piccoli paesi c’è una lista civica che raccoglie all’interno persone di varia estrazione. Dalla metà degli anni ’70 - inizio degli anni ’80 in poi le liste nei paesi si sono sempre più caratterizzate come liste civiche, mentre prima le liste che si presentavano erano ancora abbastanza connotate. Io ricordo qui a Mathi la lista della DC, la lista del PC-PSI… erano liste connotate politicamente. Certo che anche le liste civiche restano politicamente connotate, perché chi fa l’amministratore porta dietro la sua storia politica, però non connotate con simboli di partito.

D: Forse in paesi grandi come Ciriè si continua con le liste di partiti…

R: A Ciriè si, ma se andiamo a Mathi, Balangero, Lanzo…sono tutti paesi in cui le liste si presentano con loghi tipo torri, mani che si uniscono…sono liste civiche.

D: sono meglio le liste civiche di quelle partitiche? Viene facile pensare che molto probabilmente chi si è iscritto alle liste civiche sono cittadini che vogliono davvero fare qualcosa per il loro paese, a prescindere dall’orientamento politico di ognuno. Non è così?

R: Meglio o peggio non lo so. Dovrebbe essere così. Non ho elementi per verificare così altri paesi, ma quello che posso dire per Mathi è che se la positività di una lista civica sta nel fatto che ci può essere quella sintesi di cui parlavo tra varie tendenze politiche, dall’altra non sempre le scelte che vengono fatte possono essere condivisibili. Ma questo penso che sia dappertutto, anche perché ovviamente quando uno governa…

D: …Vende lo stesso, a prescindere, l’anima al diavolo?

R: Si, il rischio c’è sempre. Tutte le volte che si ha un briciolo di potere si cerca di venderlo nel miglior modo possibile.

D: Come si può evitare secondo te questo dato di fatto che chi va al potere si dimentica (almeno un po’) dei cittadini?

R: Io credo che sia fondamentale ed essenziale proprio il rapporto con loro; cioè credo che la trasparenza delle proprie azioni debba essere sempre al primo posto. Operare scelte da stanza dei bottoni, in cui “io sono stato eletto e adesso governo in nome e per conto dei cittadini”, non lo condivido. Non l’ho mai condiviso: il rapporto, ance di verifica, con i cittadini deve essere costante e continuo. In fondo i cittadini sono la base elettorale, grazie alla quale si diventa sindaco o si riveste qualsiasi ruolo. Io sono ancora dell’idea di una politica che non sia solo rappresentanza, soprattutto nei piccoli paesi. Posso capire che a livello nazionale la rappresentanza la si deleghi in termini parlamentari col proprio voto, e va benissimo. Nei piccoli paesi invece io credo sia ancora possibile stabilire un rapporto tra gli eletti e gli elettori, dato da momenti di verifica, ma non ogni 5 anni col voto, ma periodicamente, in cui l’amministratore chiede agli elettori che lo hanno eletto se la strada intrapresa è giusta o ha bisogno di correttivi o che cosa sarebbe meglio fare…Ecco, questo è più difficile, certo, perché richiede uno sforzo maggiore, quello di verificarsi con gli altri, però credo che questo faccia parte della politica.

D: Le persone che rivestono ruoli politici in questi paesini mantengono i loro lavori?

R: Normalmente si, pur avendo incombenze importanti: infatti chi fa il sindaco o l’assessore, soprattutto in un piccolo paese ha dei grossi impegni, delle responsabilità maggiori: tutto più concentrato su di lui rispetto ad altri paesi più grandi dove la responsabilità è divisa tra tanti. Normalmente usufruiscono dei permessi dal lavoro. Questo perché chi si è candidato abbia il giusto tempo da dedicare alla propria attività da amministratore.

D: Non hanno uno stipendio come i parlamentari, vero?

R: No, gli stipendi sono molto più bassi, molto spesso gli amministratori poi li dirottano in solidarietà. Non è quello il costo della politica.

D: Non a livello locale.

R: I costi della politica sono ben altri, sono gli sprechi, gli sperperi, l’abuso della propria posizione per avere un proprio tornaconto. Io credo che quelli siano i grossi sprechi della politica. La politica ha bisogno di mantenersi, la buona politica, e quindi io non sono pregiudizialmente contro il finanziamento ai partiti, però il tutto dovrebbe essere molto più trasparente.

D: Immagino che se partiti e politici fossero  trasparenti non ci sarebbero tutti questi problemi.

R: io credo che questo periodo avrebbe bisogno di maggior trasparenza, proprio per far uscire la politica dal buio in cui è caduta.

D: Per restituire credibilità agli occhi ai cittadini, per evitare la loro disillusione…

R: Maggiore trasparenza e maggiore sobrietà, per cui chi fa politica oggi molto spesso diventa un nuovo ricco; in realtà non dovrebbe essere così:  la politica dovrebbe prima di tutto essere una scelta ideale che poi, certo, porta con sé anche sì un riconoscimento dal punto di vista economico, ma non così alto. Ritengo per esempio che gli stipendi dei nostri deputati siano troppo alti rispetto alla media degli altri paesi europei: non capisco perché un parlamentare in Spagna, in Francia, in Germania debba prendere la metà di un parlamentare italiano e fare bene il suo lavoro ugualmente.

D: I loro stipendi sono troppo alti anche rispetto all’andamento economico del Paese:  ho letto un articolo molto interessante sul fatto che più un paese sta bene economicamente, e più un parlamentare può essere pagato di più. Ma l’assunto di base è che gli stipendi dei parlamentari vadano di pari passo con gli stipendi medi dei cittadini, senza che ci sia troppa discrepanza.

R: Se poi siamo in una situazione in cui c’è un precariato dilagante, una disoccupazione giovanile troppo forte e via dicendo, avere queste sacche di privilegio così ostentato stona.

D: Si tratta sicuramente di una richiesta simbolica richiedere di ridurre drasticamente i privilegi economici ai parlamentari: certo  aiuterebbe ma non sanerebbe il debito pubblico, però sarebbe un forte segnale per i cittadini.

R: Certo. È ovvio che non si risolvono i problemi economici dell’Italia abbassando gli stipendi ai parlamentari, economicamente sarebbe una briciolina rispetto a quello che è necessario (vedi le ultime manovre fatte dal Governo), però sicuramente sarebbe un segnale di ritorno ad una maggiore sobrietà, ad una maggiore attenzione verso i bisogni dei cittadini. I sacrifici li si fa più volentieri quando si vede che da parte dei politici c’è buona volontà. Ritengo anche che il politico non debba mai sentirsi impunito, nel senso che se sbaglia deve pagare come un libero cittadino.

D: Vedi Berlusconi col processo Mills …

R: Ci sono state tante mini- leggi ad personam, per cui la decadenza dei termini, i falsi in bilancio e via dicendo sono tutti prescritti, per cui in qualche modo ne esce, se non assolto con formula piena, per decadenza dei termini: questi messaggi che sono stati dati dalla politica negli ultimi anni secondo me hanno veramente disaffezionato e allontanato molti che nella politica vedevano una possibilità di cambiamento.

D: Lavorando per il Comune di Mathi tu hai iniziato come bibliotecario e poi, cambiando la legge nel 1999, sei diventato responsabile di un’area molto più vasta che ha compreso delle mansioni che prima non avevi mai svolto: coordinatore della segreteria, scuola e altri settori. Com’è stato questo cambiamento, come l’hai vissuto?

R: E’ stato un cambiamento pesante e anche di prospettiva perché ovviamente ho dovuto fare i conti con altre professionalità e altri servizi. Ho avuto e ho la fortuna di avere colleghi molto bravi, ciascuno per il suo settore svolge la sua mansione; per cui il mio è un ruolo di coordinamento e di responsabile di un’area all’interno della quale ciascuno professionalmente dà il meglio. All’anagrafe, allo stato civile, all’ufficio scuola, all’ufficio commercio e via dicendo ho delle colleghe che conoscono a fondo la legge, i regolamenti, e che quindi mi fanno stare tranquillo.

D: Anche perché non avresti vita privata, se dovessi seguire tu direttamente tutti questi ambiti.

R: Il coordinamento è importante quando c’è da confrontarsi su novità e innovazioni e quant’altro; il confronto è sempre aperto, però diciamo che molto spesso io firmo i documenti che mi propongono le mie colleghe dell’anagrafe piuttosto che dell’ufficio commercio o scuola con conoscenza di causa, certo, ma anche con una buona dose di fiducia nell’operato dei miei colleghi. Non potrebbe essere altrimenti: ciascuno di noi non è un tuttologo, ma ha degli ambiti suoi specifici di preparazione professionale. I miei sono come già detto legati all’ambito bibliotecario – culturale e questo è l’aspetto che più tratto con cura dal punto di vista professionale. Gli altri aspetti sono trattati con cura, ma anche con un buon rapporto e una grande collaborazione da parte dei miei colleghi, non potrebbe essere altrimenti, ripeto.

D: In cosa consiste il lavoro del bibliotecario, se è possibile riassumerlo in poche parole?

R: Il lavoro del bibliotecario può essere riassunto in due parole: una è la professionalità in un ambito che molto spesso è sottovalutato; e la passione che fa il paio con la professionalità. Questi due aspetti, professionalità e passione devono sposarsi. Io dico sempre che la biblioteca è un ufficio comunale a tutti gli effetti, ma a differenza degli altro uffici comunali ha una sua specificità che non è paragonabile a nessun altro, proprio perché lavora con i libri, lavora con gli utenti, propone, fà sì che sia un nodo strategico nelle scelte per una buona politica culturale da parte del Comune. Dopodiché, per fare il bibliotecario, avere professionalità che vuol dire? Avere uno sguardo attento alle novità editoriali che vengono proposte sul mercato, la necessità di un aggiornamento professionale continuo, perché non è una professione che nasce e muore: è una professione in divenire, come tutte le professioni che hanno bisogno di trovare aggiornamento professionale: penso agli insegnanti, ai medici, agli infermieri, a tutte quelle professionalità che hanno bisogno di un aggiornamento costante e continuo per camminare e stare al passo con i cambiamenti che mutano. La biblioteca è il luogo secondo me simbolo di questi cambiamenti, nel senso che deve avere la capacità di accoglierli. Penso a quando è nata la biblioteca di Mathi: non c’erano i computer. Ora invece legare la propria attività al libro ma anche ai nuovi strumenti multimediali è assolutamente fondamentale. E se questo salto non si riesce a farlo, chiaro che si rimane indietro, non si offrono tutte le possibilità di comunicazione e di informazione ai cittadini che i nuovi media offrono. Questo io credo che sia l’aspetto fondamentale. E poi c’è la gestione quotidiana: il rapporto con l’utenza, il bellissimo rapporto con l’utenza, lo scambio di vedute, il consiglio per un libro da leggere richiesto dall’utente piuttosto che un confronto sull’ultimo libro letto…questi sono elementi che accrescono la professionalità, anche perché la professione del bibliotecario si nutre del rapporto costante e continuo con la propria utenza che legge, ha pensieri diversi, ha desideri diversi, obiettivi di lettura diversi, e il confronto fa crescere. Sentire parlare di un autore che io magari non ho mai letto da chi invece di quel lettore sa tutto è un arricchimento professionale, quindi in questo senso diciamo che il fascino di questa professione sta proprio in questo rapporto costante e quotidiano con l’utenza, con i bambini che vengono in biblioteca, con il progetto nazionale “Nati per Leggere”, che è uno dei progetti a cui la biblioteca di Mathi aderisce da alcuni anni…
 In Italia non esiste un percorso di studi specializzato per la professione di bibliotecario: negli altri paesi europei esiste proprio un corso di laurea in biblioteconomia. Da noi ci si laurea in lettere e poi si può aver dato un esame in biblioteconomia, ma laurearsi con specializzazione in biblioteconomia non è possibile.

D: Non c’è la facoltà in beni archivistici e culturali, professione bibliotecario?

R: No, è sui beni culturali, ma lo specifico della biblioteca proprio come corso di laurea non esiste ancora in Italia. Esiste si  il corso di laurea in tutela dei beni culturali e ambientali. Ecco si però si tratta di “tutela dei beni”, quindi il bibliotecario è pensato come colui che custodisce i beni culturali librari, che va benissimo per una biblioteca di studio, ma per le altre? Io penso alle grandi biblioteche che noi abbiamo in Italia, nazionali e storiche, la Marciana di Venezia, l’Ambrosiana di Milano, la Civica Nazionale a Torino, ma non ci sono solo gli archivi! Il bibliotecario così come è inteso con i suoi percorsi di specializzazione sui nuovi media non esiste ancora qui, mentre esiste in altri Paesi. Tanto per fare un esempio, in Danimarca le biblioteche offrono spazi incredibili di visita, e il rapporto è di circa un bibliotecario ogni 700 abitanti. Questa è utopia pura, ma vorrebbe dire che Mathi  avrebbe, se fosse rispettato questo rapporto, sei bibliotecari!! Mi sembra incredibile e abbastanza fuori portata. Però era un esempio per dire come l’attenzione sulle biblioteche sia molto presente in altri paesi: penso ai paesi anglosassoni, penso agli Stati Uniti, in cui sulla nascita e diffusione delle biblioteche studi recenti effettuati su più anni hanno dimostrato come dove sono presenti le biblioteche c’è stato un incremento del Prodotto Interno Lordo; questo vuol dire che lavorare, operare su strutture culturali permanenti: le biblioteche lo sono, perché sono un presidio culturale permanente nel territorio , perché esistono tutto l’anno, sono visitabili e fruibili tutto l’anno dalla popolazione.

D: Adesso anche su internet, oltretutto: chi vuole controllare se c’è un libro nella biblioteca di Mathi, ma in qualsiasi altra biblioteca della zona (fino a Ivrea), o se non è in prestito, può farlo andando sul sito ivrea.erasmo.it.

R: Le biblioteche possono veramente aiutare lo sviluppo di un paese in termini profondi.

D: Come tutta la cultura, del resto.

R: Questi sono studi di settore che negli Stati Uniti sono estremamente diffusi, che fanno quotidianamente, anno per anno, e che hanno proprio dimostrato come, dove si investe in cultura, si raccolgano moltissimi frutti…Ecco, anche questo dovrebbe essere un cambio di prospettiva: la cultura vista come investimento, non come spesa.

D: Come viene vista la cultura in Italia?

R: Non parlo solo di Mathi ma in termini generali. Non a caso a livello italiano non esiste una legislazione nazionale sulle biblioteche. Le biblioteche sono gestite da leggi regionali. Una legislazione nazionale che promuova la diffusione delle biblioteche a livello nazionale non c’è: una legge nazionale che metta insieme la gestione delle biblioteche nazionali, delle biblioteche storiche, delle biblioteche universitarie, di quelle di ente locale per dare un'unica cornice di prospettiva al grande sviluppo delle biblioteche non c’è.

D: Capisco. Siamo arrivati quasi alla fine dell’intervista, e le ultime domande che ti vorrei porre sono un po’ sul Maurizio Fariello non in veste di bibliotecario ma nella sua vita privata: che cosa ti piace fare, se hai degli hobby, come passi il weekend?

R: Io nella vita privata sostanzialmente faccio poche cose: mi piace leggere, mi piace lo sport, e lo pratico nel senso che alleno una squadra femminile di pallacanestro; ho anche alcuni momenti in cui facciamo partite nella palestra di Mathi o in esterna, se giochiamo fuori casa. E poi a casa mi dedico a tutti gli hobby che sono soprattutto legati alla lettura: leggo giornali, riviste, testi di tipo professionale, visto che mi piace anche aggiornarmi sul lavoro che faccio. Leggo romanzi, libri per bambini quando mi capita; vado in bicicletta se posso, soprattutto nel periodo estivo… sono attività che appartengono un po’ a tutti, insomma. Trovo che la lettura sia un elemento fondante, così come lo sport perché, come dico sempre alle mie ragazze, lo sport è un po’ la metafora della vita: quando ci si impegna, si spende tutti sé stessi per raggiungere un risultato il risultato si raggiunge. E questo per me è fondamentale.

D: Che età hanno le ragazze?

R: Vanno dai 17-18 ai 22-23 anni.

D: Visto che hai a che fare con questa fascia di età e visto il discorso che abbiamo fatto prima sulla politica e le disillusioni del mondo moderno, che messaggio daresti ai giovani di oggi? Giovani, bambini, adolescenti?

R: Ai giovani che sono ancora nel mondo della scuola o che magari si affacciano al mondo del lavoro mi piacerebbe trasmettere un messaggio che è una frase di Gramsci che disse in un periodo buio della nostra storia italiana durante il ventennio fascista da un carcere: bisogna, contro il pessimismo della ragione, ad esso bisogna anteporre l’ottimismo della volontà. Detto in quel contesto acquista un valore universale perché i tempi bui che stiamo vivendo possono oggi essere affrontati e superati solo se c’è uno sguardo lungo che guarda al futuro con la speranza che i giovani possono e devono ancora avere. Se la disillusione può appartenere all’adulto che ha bruciato un po’ di utopie, di speranze che non ha viste realizzate, un giovane è bene che le tenga, che le coltivi. Un proverbio brasiliano dice che quando si sogna da soli è solamente un sogno, ma quando si sogna insieme il sogno può diventare realtà.

D: Una bella immagine. ti ringrazio, è stato molto interessante!