giovedì 17 gennaio 2013

Luca Pilat: la vita è una meravigliosa scalata (su una parete rocciosa)


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Luca Pilat, 28enne di Castellamonte: laureato con 110 in “Comunicazione e organizzazione”, attualmente lavora come educatore ma il suo sogno è di rendere la montagna, sua grande passione, il suo vero lavoro, diventando guida alpina. L’intervista comincia con una similitudine tra il mio registratore e lo strumento che in montagna si utilizza per ritrovare le persone sotto le valanghe grazie a degli ultrasuoni più o meno intensi. E’ davvero realistico, e se si tra quanto tempo, che la montagna possa diventare il tuo lavoro principale?

Secondo me a medio termine si, parlo di circa cinque anni. Vorrei davvero diventare guida a tutti gli effetti e far conoscere  la montagna alle persone: sono convinto che a quelle altitudini una persona possa entrare in contatto con una parte di sé stessa che forse non pensava di avere, grazie all’esperienza che il suo corpo compie, spesso superando i suoi limiti. Anche se sembra un tempo lungo, so di essere tenace e non mollerò.

Di cosa ti occupi di preciso? Scalata libera?
La scalata libera possono farla solo i più preparati al mondo, perché si fa senza corde con la consapevolezza che se va bene, va bene, ma se si mette anche solo un piede in un posto sbagliato si è fritti. Noi scaliamo assolutamente in sicurezza: il primo a salire mette anche le corde per i suoi compagni, i quali poi si ancorano alla parete.



Quando dici che porti la gente in montagna intendi che la porti a scalare?

Non solo: possiamo fare anche solo delle passeggiate, o alpinismo vero e proprio.

Di quale organizzazione fai parte?
Faccio parte, ovviamente come volontario, del CAI (Club Alpino Italiano), in particolare nella sezione di Cuorgnè. Quando dobbiamo occuparci di gruppi ci troviamo il venerdì sera per decidere, in base alle richieste, la meta dell’escursione e il capo-gita tra uno di noi.

E’ numeroso il gruppo di Cuorgnè?
Come iscritti siamo quasi 300, ma gli effettivi che fanno la montagna a certi livelli siamo circa 40.



Com’è nata la tua passione per la montagna?
A 6 anni! Sono il nipote di uno dei primi istruttori del Canavese, ma il motivo principale è che mi spedivano sempre in montagna per curare la mia asma, e da allora ci sono rimasto attaccato.
Quando hai cominciato a pensare che avresti potuto dare un risvolto professionale a tutto ciò?
I risultati hanno cominciato ad esserci già da qualche anno: a 16 anni ero sulla vetta del Gran Paradiso, e più andavo avanti più soddisfazioni provavo. Tutto ciò ha comportato anche molti sacrifici e tante battute da parte dei miei amici, perché ero quello che non giocava a calcio né a basket perché passava il tempo in montagna. D’inverno spesso organizziamo giornate di sci alpinismo o simili, per cui ci si ritrova in piazza alle 3 o 4 di notte per partire, e a quell’ora incrocio i miei amici che invece si ritrovano di ritorno dalla discoteca per andare a dormire: sono scelte di vita, non le rinnego affatto. Certo, ogni tanto mi capita di andarci anch’io, in discoteca, ma è sempre legato al fatto che per qualche motivo non posso andare in montagna, ad esempio quando prevedono brutto tempo. Comunque probabilmente così mi tengo più lontano dai guai.

Hai una qualche qualifica, seppur da volontario, all’interno del CAI? Come l’hai ottenuta?

Frequentando il CAI (e non solo la sezione di Cuorgnè) i più anziani mi hanno “notato” e segnalato (in senso positivo) subito come possibile futuro istruttore, a maggior ragione perché il Club ha un grosso problema di ricambio generazionale: io sono l’istruttore più giovane di tutto l’alto Canavese (l’età media si avvicina ai 60 anni…).
Inizialmente gli istruttori mi hanno fatto fare un corso di arrampicata per imparare bene i nodi da fare con la corda, dopo di che ho frequentato i corsi appositi, composti di teoria e di pratica: tra le altre cose ho imparato anche a gestire situazioni problematiche, ad esempio a far scendere con le corde persone che stavano arrampicandosi e si trovano ad un certo punto in difficoltà. Siamo abilitati anche a fare soccorso calandoci con le corde dall’elicottero. Nella parte teorica invece si studiano materie come meterologia,   nuvologia, la geologia e via dicendo. Anche gli istruttori già qualificati continuano a studiare perché ci sono i corsi di aggiornamento e le cosiddette “revisioni” a cui si viene sottoposti, basati su standard minimi: se non si raggiungono si viene esonerati dal servizio.



Hai già operato come istruttore?

Già due volte: la prima è stata una giornata di alpinismo giovanile che abbiamo svolto con le scuole, con le quali il CAI ha una convenzione con le scuole elementari dell’alto canavese (Cuorgnè, Rivarolo, Castellamonte…); si tratta di “alpinismo giovanile”, ovvero un percorso tra marzo e giugno composto di momenti teorici nelle classi e altri pratici in montagna: in classe insegniamo loro a leggere la cartina e orientarsi con la bussola, in montagna li portiamo ad arrampicare, a fare escursioni e percorsi-orientamento. Per chi di loro si trova bene il percorso può continuare anche d’estate con quattro gite infrasettimanali ed un ultima esperienza di un weekend dove li portiamo a dormire in un rifugio; per loro è un’esperienza di certo spiazzante, perché molti, nel momento in cui l’ultimo contatto con la civiltà (ovvero il telefonino che non prende) si spegneva, diventavano completamente persi, disorientati. C’erano bambini di quinta elementare con vari smartphone appresso, addirittura l’ipad! Il record l’abbiamo raggiunto grazie ad un’escursione con un gruppo di 180 bambini! Per molti di loro lo scopo principale è quello di avvicinarli per la prima volta alla montagna, al bosco, alla natura in generale, perché non conoscono nulla (oltre ai videogiochi…).

La tecnologia è una gran cosa ma dovrebbe andare di pari passo con l’ambiente, se fossero integrati l’una con l’altro.

Purtroppo per ora non è così. La seconda volta che ho operato come istruttore è stato per dare lezioni specifiche di arrampicata a ragazzi dai 16 anni in su per un progetto scolastico che si chiama “Scuola valle orco”, insieme ai CAI di Volpiano, Rivarolo e Forno Canavese; gli sport che insegniamo sono arrampicata, sci alpinismo e alpinismo. Le lezioni sono itineranti tra Piemonte, Valle D’Aosta e Liguria, in particolare a Finale Ligure, per provare l’ebbrezza di arrampicare guardando il mare.



Quali sono state le reazioni più piacevoli e quelle invece spiacevoli dei bambini?

E’emozionante sentirsi dire da un bambino di 6 anni: “Da grande voglio essere come te”, oppure: “Vienimi ancora a trovare a scuola o a casa mia perché voglio venire ancora in montagna con te”. Forse questo rapporto è facilitato dal fatto che essendo l’istruttore più giovane per questi bambini sia più facile lasciarsi andare, vedendomi un po’ come un fratello maggiore. Devo dire che i più svelti a capire sono i bambini di origine asiatica, mentre i nostri sono un po’ più lenti, credo sia una questione di educazione più rigida e più improntata all’obbedienza e all’ascolto.
Come reazioni spiacevoli invece abbiamo dovuto gestire crisi isteriche, ma non come si penserebbe in situazioni di pericolo: ad esempio c’è stato il caso di una bambina che, a cena in un rifugio, ha avuto una crisi isterica perché, abituata a mangiare la pasta a forma di stelline, ha ricevuto degli spaghetti. Un altro ragazzino si è presentato per l’escursione con il trolley!

Un futuro lavoro in questo campo può avvenire tramite il CAI o dovrai metterti in proprio come guida alpina? 

No, con il CAI si fa solo volontariato, per passione. Se riuscissi a diventare guida alpina potrei aprirmi una partita IVA, farmi il mio giro di clienti e vivere di quello. Per adesso fortunatamente riesco a incastrare la mia professione e le varie attività con il CAI (solo il percorso con le quinte elementari mi occupa tre mezze giornate alla settimana) grazie alla flessibilità che i miei datori di lavoro mi permettono.



Anche questo settore risente della crisi? Nel senso, ti conviene metterti in proprio o poi la pressione fiscale rischierebbe di schiacciarti?

La crisi c’è e si sente anche nel nostro settore. In più la gente frequenta sempre di meno la montagna.

Non c’era il mito della gente che dalle città sta tornando a ripopolare le montagne? E’ solo una leggenda?

Ci torna, ci torna, ma solo per viverci e godere della montagna a livelli molto bassi di partecipazione personale: ad esempio adesso va molto di moda andare a cenare nei rifugi, ma cosa significa? Significa che ti vengono a prendere al parcheggio col gatto delle nevi o con la motoslitta, ti portano al rifugio dove cenerai e ti riportano al parcheggio dopo cena. La crisi si patisce perché frequentare la montagna a certi livelli ha dei costi esorbitanti: vestiario, attrezzature, strumentazioni; si patisce perché la gente viene su di meno per risparmiare anche benzina, e questo porta i rifugi, che hanno dei costi di manutenzione non da poco, a dover anche chiudere (in questo senso ben vengano le cene!). Io trovo che in Piemonte, e di certo nelle nostre zone, si sia persa o comunque manchi la cultura della montagna; ad esempio in Sud Tirolo e in Svizzera fin da piccoli i bambini vengono abituati alla montagna, a parlare di montagna: loro lavorano sui numeri. Ad esempio se vengono avviati alla montagna 1000 bambini, per la teoria della probabilità 10 diventeranno maestri di sci, 2 apriranno un rifugio, e la montagna vivrà. Qui abbiamo invece intere zone abbandonate al loro destino: da una parte dopo il secondo dopoguerra si sono spopolate per via del boom economico che ha spinto verso le città, dall’altra non si è fatto nulla a livello politico per riportare la gente su. E la colpa secondo me è stata a livello di tutte le amministrazioni, da locali a nazionali. Forse avremmo dovuto essere una regione autonoma come Trentino e Valle D’Aosta… Per le montagne nostrane inoltre aver avuto due poli industriali importanti come Torino e Ivrea ha contribuito molto a spopolarle. Le olimpiadi a Torino nel 2006 hanno fatto costruire impianti da milioni di euro a Bardonecchia e Salice d’Ulzio che ora sono completamente abbandonati: ad esempio la pista di bob a Cesana è chiusa perché non hanno i soldi per mantenerla. Altri impianti non possono essere riutilizzati dai singoli privati, perché sono stati costruiti per sport di squadra, o perché troppo specifici: io e te non possiamo certo decidere di fare un salto con gli sci dal trampolino! Escludendo le piste di pattinaggio, di sci di fondo e di sci da discesa gli altri impianti non possono essere smantellati e ri-destinati ad altro.



Come sostenete economicamente le vostre attività?

Ci autofinanziamo, organizziamo collette tra amici e negozianti, ricerchiamo sponsor. Queste iniziative hanno permesso ad esempio di creare una palestra al chiuso con quattro pareti artificiali, presso l’oratorio San Dalmazzo a Cuorgnè; sul territorio esistono altre tre pareti artificiali: all’aperto ad Alpette e Canischio, al chiuso ad Ivrea.

Quanto vi sono costate queste pareti?

Strutture di nove metri per quattro costano circa 4000 euro l’una. La nostra palestra esiste da 20 anni, ed all’inizio ci arrangiavamo tassellando alle pareti le lose dei tetti trovate in montagna! In un secondo momento abbiamo cercato di ricreare più simile alla realtà una parete di montagna realizzando dei pannelli con spigoli, rientranze e via dicendo. Infine abbiamo aggiunto le prese artificiali, in similplastica, che ricordano molto la roccia. Tutto è sempre stato a norma (anche ai tempi delle lose!), certificato da un ingegnere civile: la verifica della solidità della struttura viene fatta tramite un esame che si chiama “caduta a vuoto di un peso”; noi usiamo il copertone di un camion riempito di cemento che leghiamo alla struttura e poi lasciamo cadere di modo che resti appeso.



Che orari ha la vostra palestra? Chi vuole provare cosa deve fare?

Siamo aperti il martedì e il giovedì dalle 18 alle 22.30. E’ sufficiente presentarsi, senza prenotare: la prima volta è gratuito, mentre dalla seconda in poi si chiede un contributo di 4 euro. Per informazioni in più c’è il sito: www.caicuorgne.it .

Come ti ha cambiato la montagna nella vita di tutti i giorni?

Quando sei sospeso a 2/3000 metri nel vuoto pensi sempre più di due volte al prossimo passo che devi compiere: questa tendenza alla ponderazione prima di qualsiasi decisione è molto presente nella mia quotidianità. Ogni tanto, riflettendo su quei miei amici che purtroppo non ci sono più a causa di comportamenti avventati, penso che forse se li avessi portati in montagna con me ora magari ci sarebbero ancora.



Puoi raccontarci degli aneddoti legati alla montagna?

Tutte le cadute con gli sci sono da spanciarsi (se non ci si è fatti nulla!), ne avrei a bizzeffe da raccontare. Una volta invece ho avuto molta paura: quando sono finito sotto una valanga, tre anni fa. Ero in un canalone con due miei compagni d’avventura, io ero circa 10 metri più avanti rispetto a loro: nessuno ha fatto in tempo ad accorgersi di nulla, quando una nuvola bianca mi ha sommerso. Fortunatamente mi hanno trovato subito perché avevo solo due spanne di neve sopra la testa, ma la cosa divertente è che sono stati quasi più pericolosi per me i miei amici che non la valanga (infine si è rivelato tecnicamente un “soffio”, ovvero sono stato sommerso solo dai margini della valanga vera e propria, che correva di fianco al canalone), perché nella foga di trovarmi con le pale pieghevoli (sempre in dotazione nell’equipaggiamento, n.d.r.) mi hanno dato un colpo tremendo sulla testa: per fortuna avevo il caschetto! Altro strumento sempre da portare dietro è l’Arva, ovvero una sorta di cercapersone che emette un suono sempre più forte man mano che ti avvicini alla persona: individuata l’area in cui si trova la persona in difficoltà viene usata la sonda, una sorta di paletto sonoro che si affonda (piano!) nella neve per sentire se c’è qualcuno sotto. Dopodiché si scava più in fretta possibile, dato che il tempo di sopravvivenza sotto la neve è di 20 – 30 minuti massimo (l’ipotermia e l’assenza di ossigeno purtroppo poi fanno il resto). Quando si è in quelle situazioni ci si affida la vita a vicenda, e questa simbiosi è un’emozione che ti cambia molto.

Quanto tempo si impiega a scalare una montagna?

Dipende molto dalla pendenza, oltre che dall’altezza: ore, a volte anche giorni interi. Si scala in due, o in tre o in quattro. In due si fa più veloce, e per alcune pareti la velocità è fondamentale: tecnicamente si dice che alcuni punti “scaricano”, ovvero a seconda del cambio di temperatura o delle condizioni atmosferiche possono staccarsi dei pezzi di roccia o la neve. Alcuni tratti infatti è meglio scalarli prima dell’alba, utilizzando l’apposito casco con la pila da minatore. Una scalata va quindi studiata prima (come fosse il piano per una rapina!) tenendo conto di aspetti geologici e metereologici. Tra l’altro l’alba vista mentre si sta scalando una montagna è un’esperienza magica.

Qual è la montagna che hai amato di più finora?

Il mio primo 4000 è stato il Gran Paradiso, quindi ci sono particolarmente legato; ma anche del Castore (Val d’Aosta) ho bellissimi ricordi, così come del Monte Rosa.

Che differenza c’è quindi tra arrampicata e alpinismo (per tutta risposta ricevo un occhiataccia che mi fa sprofondare)?

Fare alpinismo significa prendere d’assalto una montagna per arrivarvi in cima, studiando e preparandosi minuziosamente mesi prima, e pernottando nei rifugi. L’arrampicata invece si fa sempre su vie apposite, di solito arrivi lì con l’auto, scarichi l’attrezzatura, arrampichi e torni a casa. In alcune occasioni però l’arrampicata può anche durare più di un giorno, ed in quel caso si dorme appesi alla parete con delle apposite brandine che si ancorano alla roccia. E’ un’esperienza che non ho ancora vissuto ma che intendo fare in America nel parco di Yellowstone (quello di Yoghi e Bubu, per intenderci), dove si trova una via di granito alta più di un km sulla quale si dorme per due notti, mentre la si arrampica. In entrambi i casi, ma soprattutto nell’alpinismo, scendere è la parte più devastante (perché il corpo è già stanco) ed eterna, soprattutto nei ghiacciai o comunque dove c’è la neve ed è tutto bianco. Detto così può sembrare demotivante, ma la verità è che si deve provare passo dopo passo, e fermarsi quando si sa che oltre non si potrebbe andare. Si tratta di conoscere i propri limiti.



Con chi scali? Hai un gruppo fisso?

Si, siamo in tre, tutti più o meno coetanei dalla Valle d’Aosta e Valli di Lanzo: ci siamo conosciuti in giro per le montagne e siamo diventati amici. Di solito il lunedì guardiamo tutti il meteo e ci sentiamo per organizzare dove andare il weekend successivo, se non abbiamo altri impegni. I percorsi segnalati (che si tratti di arrampicata, alpinismo o anche semplici escursioni) sono elencati su delle cartine apposite o sul sito www.gulliver.it.

Come sono cambiate le montagne in questi anni? E’ visibile o no l’effetto dell’inquinamento ambientale provocato dall’uomo?

Si vede, si vede: di anno in anno, quando torniamo negli stessi posti, è visibile l’arretramento dei ghiacci, perché ci accorgiamo di quanto cambi il paesaggio. Ci sono ghiacciai che si ritirano anche di 20, 30 metri all’anno: se continua così nelle Alpi tra qualche decennio i ghiacciai saranno un semplice ricordo. I ghiacciai sono la nostra riserva fondamentale di acqua, ed in più sono il collante naturale delle montagne: senza quello le rocce cominciano a franare, la montagna viene tutta giù. Infine le temperature si stanno alzando, alterando il delicato equilibrio di flora e fauna: vedere alberi crescere oltre i 2000 metri è sconcertante, e certo non positivo come potrebbe sembrare.
Mi capita anche di andare in alcuni ghiacciai e di vedere sul ghiaccio le strisce grigie dell’inquinamento che il vento porta su dalle città. Bisognerebbe proprio avere più consapevolezza su questo argomento, e prendere seduta stante dei provvedimenti.



Info e contatti: 





venerdì 4 gennaio 2013

Progetto "GLI ARTI DELL'ARTE"

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Nicolò Berta (presidente dell’associazione culturale Tolocals), Chiara Bechis (educatrice della cooperativa sociale Stranaidea) e Daniel (uno dei giovani che ha partecipato all’iniziativa) raccontano il progetto “Gli arti dell’arte” nel suo evento conclusivo presso il (per ora) ex Centro Giovani Taurus. Di che cosa si tratta?

Il progetto è nato da un bando della Provincia di Torino legato ai mestieri dell’arte e della cultura al quale ha partecipato l’associazione Tolocals coinvolgendo la cooperativa Stranaidea perché più presente sul territorio del Ciriacese (essendo una delle gerenti del Taurus, n.d.r.). Insieme abbiamo sviluppato questo progetto il cui obiettivo era quello di narrare dei mestieri legati all’arte e alla cultura non più conosciuti; allo stesso tempo abbiamo deciso di raccontare quei mestieri che a loro volta sarebbero stati i mezzi per documentare e descrivere i mestieri d’arte. Il progetto si è concretizzato coinvolgendo dei giovani del territorio, chiedendo loro di seguire un fotografo e un video maker nel percorso di documentazione e montaggio dei prodotti finali che avrebbero descritto due mestieri dell’arte: il liutaio ed il fumettista. I giovani si sono incontrati varie volte per comprendere il progetto ed idearlo a livello di tempo e contenuti, per recarsi dagli artigiani documentando con foto e video i loro racconti, e infine per montare le presentazioni finali. Il materiale prodotto è stato montato per creare una presentazione, un video tutorial ed un album fotografico dei due mestieri. Tutto il materiale è stato messo sul sito www.gliartidellarte.com per lasciarlo fruibile a tutti coloro che potrebbero essere interessati a sapere di più di questi mestieri.



Daniel, come sei venuto a conoscenza di questo progetto e come ti sei trovato?

Ho conosciuto “Gli arti dell’arte” tramite i social network, e mi sono subito incuriosito per il mio personale interesse per il videomaking e la fotografia. Il progetto secondo me è stato curato in maniera molto attenta, e sebbene sia durato pochi incontri la mole di documentazione che abbiamo prodotto: personalmente sono rimasto molto contento della professionalità con cui siamo stati seguiti ed istruiti dalla fotografa, Sarah Bouillaud, e il video maker, Amedeo Berta, e anche dell’entusiasmo e l’impegno con cui hanno partecipato gli altri ragazzi insieme a me.



Con cosa torni a casa?

Certamente con delle nuove conoscenze e dei nuovi contatti (che nel nostro lavoro sono sempre utili). Durante gli incontri preliminari siamo entrati in contatto ad esempio con un professionista del web per imparare a costruire il sito del progetto: questo incontro in particolare mi è servito molto per darmi delle basi che ho poi approfondito per conto mio. Stare a contatto con i professionisti del settore mi è invece servito molto, pur conoscendo già le tecniche, per fare esperienza sul campo: in questo periodo di “vacche magre” questo tipo di esperienze sono per me una manna dal cielo, e l’ho voluta cogliere al volo.



Che futuro c’è, o quale vorreste, per questo progetto?

L’associazione Tolocals cercherà di tenere i canali aperti: il materiale prodotto resterà disponibile sul web per chi vorrà usufruirne (sito e pagina facebook); per il resto speriamo ci sia la possibilità tramite bandi, istituzionali o meno, di non far morire questo progetto ma di proseguirlo producendo altro materiale su altri mestieri legati all’arte e alla cultura. Per ora purtroppo all’orizzonte non si sta profilando molto… Speriamo, al di là del futuro di “Gli arti dell’arte”, che le persone coinvolte in questo progetto possano dall’associazione essere coinvolte in altri percorsi.



Un riconoscimento ve lo si deve già solo per aver dato visibilità a due eccellenze artigianali del nostro territorio, ovvero il fumettista ed il liutaio, che possono e devono continuare a vivere nonostante l’avvento della tecnologia. A partire dal lavoro che avete fatto, e pensando ad un suo sviluppo futuro, mi vengono in mente tutte le altre professioni artigiane (non per forza legate all’arte) che il territorio offre e che non si dovrebbero dimenticare: dare visibilità anche a queste sarebbe un ottimo servizio alla nostra memoria collettiva e al territorio stesso, oltre che incuriosire i giovani a queste attività. 

D’altronde tutti i mestieri che abbiamo incontrato nel nostro percorso sopravvivono da moltissimi anni, mentre il social media manager e i nuovi mestieri legati alla tecnologia oggi ci sono ma domani potrebbero essere completamente diversi o anche non esistere più, visti i continui cambiamenti che investono la scienza tecnologica. Questo potrebbe essere un eventuale direzione che potrebbe prendere il progetto in futuro.



Dato che siamo al Taurus la domanda sul futuro del progetto “Gli arti dell’Arte” verrebbe da porla anche su quello del Centro Giovani che per quasi 6 anni ha offerto diverse iniziative al territorio…

Crediamo che il futuro dei giovani su questo territorio continuerà ad esistere; nonostante la fase di… cambiamento del Taurus, l’associazione e le cooperative continueranno a impegnarsi sul territorio per proporre sempre nuove esperienze, se sarà possibile. Sicuramente i giovani continuano ad avere bisogno di protagonismo, e da parte nostra la volontà di rispondere alle loro esigenze c’è.



Contatti

Facebook: pagina “Gli arti dell’arte”

Sito: www.gliartidellarte.com 

Associazione Tolocals: www.tolocals.com 

Cooperativa Stranaidea: www.stranaidea.it