sabato 6 aprile 2013

IL TRENO DELLA MEMORIA 2013






Per ascoltare l'intervista a Cesare clicca QUI




Quali sono i modi per conoscere il Passato ed imparare dai suoi (tremendi) errori? Un modo esemplare è il progetto Treno della Memoria, organizzato dall’associazione Terra del Fuoco: Cesare Covezzi è uno degli animatori volontari che ha accompagnato anche quest’anno un gruppo di 50 ragazzi (provenienti dalle classi quinte superiori delle scuole del territorio - Liceo Galilei, Istituto Fermi, Istituto D’Oria, istituto Albert e Comune di Rivoli), ed è qui a raccontarci la loro esperienza.


 “Siamo stati via dal 13 al 19 marzo, quest’anno in realtà si potrebbe chiamare il pullman della memoria perché per questioni organizzative non si è potuto prendere il treno. Questo cambiamento ha portato aspetti negativi, come il sentirsi di meno una comunità viaggiante, ma ci sono stati anche aspetti positivi. I ragazzi di Ciriè in realtà già si conoscevano perché prima della partenza si sono fatti 4 incontri per dare riferimenti storici, informazioni logistiche sul viaggio e sulla cultura della Polonia, e per permettere al gruppo di conoscersi.  il gruppo avrebbe dovuto essere formato dalle 3 scuole di Ciriè più l’Albert di Lanzo; per problemi numerici invece sono stati divisi, e il gruppo di Ciriè si è “fuso” con una delegazione di circa 20 ragazzi del Comune di Rivoli, mentre il gruppo di Lanzo è stato abbinato ad altri.
L’esperienza è sempre interessante per una serie di motivi: il primo riguarda la reazione dei ragazzi quando li metti di fronte ad un pezzo di storia che bene o male ci riguarda un po’ tutti. L’Italia ha avuto un grosso ruolo per quello  che è successo in quegli anni, sia in positivo che in negativo. Metti i ragazzi di fronte a fatti compiuti, ad una situazione che loro hanno sempre e solo visto o dai libri, o dai film, ma mai toccato con mano: questo è un aspetto interessante perché in quel momento si rendono conto che è tutto vero. Un altro aspetto interessante è che per una volta gli si dà la possibilità di confrontarsi, con il nostro aiuto, togliendosi dal contenitore istituzionale formato dal classico lavagna/professore/cattedra/banchi: quello offerto dal Treno della Memoria è un discorso più di “cerchio”. Terzo aspetto interessante è il filo conduttore del concetto di “responsabilità”. La domanda più frequente dei ragazzi è: “Come è potuto accadere tutto questo?”: si cerca di ragionare insieme su quelle che sono state le responsabilità e le corresponsabilità, ragionando sul fatto che se tutto ciò è accaduto la colpa non è stata esclusivamente di Adolf Hitler, anzi. La Germania all’epoca era certamente una delle potenze economiche e militari più forti al mondo, ma è chiaro che se non ci fosse stata una responsabilità a livello politico mondiale (Stati Uniti, Russia, Europa) insieme alla responsabilità dei singoli cittadini che si giravano dall’altra parte, perché tutto sommato forse faceva comodo così. Ricordiamoci che l’Olocausto non è esclusivamente l’uccisione di un tot di milioni di Ebrei, sarebbe riduttivo pensarla così; è vero che quello è stato il gruppo più colpito, ma non dimentichiamoci degli altri: prigionieri politici, intellettuali, disabili, omosessuali, Rom…”

Il percorso del Treno della Memoria qual è?

“C’è una parte di visita storico-culturale della città di Cracovia, bene dell’Unesco. La prima tappa vera e propria è la visita al ghetto di Cracovia: grazie alle audio guide i ragazzi fanno un percorso legato alle storie di chi vi abitava: si parte dalla fabbrica di Oscar Schindler, oggi museo; si vedono poi alcune parti di resti dei muri del ghetto, e si arriva poi in una piazza centrale dove veniva sfollata la gente e dove i tedeschi lanciavano gli oggetti trovati negli appartamenti degli ebrei per sgomberarli. La seconda tappa è il quartiere ebraico tuttora esistente, in una parte periferica di Cracovia. Questa è una fase preparatoria per i gruppi, utile, oltre che per introdurli gradualmente a ciò che è accaduto, a ripercorrere la storia seguendo l’ordine cronologico: prima hanno costruito i ghetti, in un secondo tempo hanno cominciato a deportare. Cracovia dista circa un’ora di macchina dai campi di concentramento: si arriva ad Auschwitz, che era una caserma militare polacca in un secondo momento trasformata in un campo di lavoro (solo successivamente vi hanno costruito la prima camera a gas e il primo forno crematorio). Ci sono una serie di blocchi-casermoni che ora sono utilizzati per approfondimenti specifici del percorso: vi è un blocco storico, che ripercorre la guerra con documenti e foto; c’è il blocco degli italiani, dove ci sono foto e documenti riferiti agli italiani imprigionati ad Auschwitz; c’è il blocco che racconta la vita quotidiana dei prigionieri del campo (bagni, stanze da letto…).
Si arriva infine al blocco 11, quello delle torture: era considerato il carcere all’interno del campo di concentramento. Vi si trova la stanza dove veniva fatto una specie di processo sommario al detenuto, e una parte sotterranea dove c’erano le celle, a volte celle di 90 x 90 cm in cui si entrava dal basso, strisciando: in queste celle stavano quattro persone in piedi per tutta la notte, che poi il giorno dopo dovevano andare a lavorare. I detenuti non mangiavano quasi nulla, dovevano lavorare tutto il giorno: noi visitavamo i campi praticamente in tuta da sci, mentre loro, al tempo, stavano con un pigiama a righe di tela e spesso scalzi. La visita termina nella camera a gas e nel forno crematorio.
Ci si sposta quindi a Birkenau (“Auschwitz 2”, a 10 km dal primo). Birkenau è diverso perché è una radura sconfinata, della quale non vedi la fine, nato come campo di sterminio: i detenuti vi arrivavano dopo viaggi a volte di giorni interi,stipati nei cari bestiame senza cibo né acqua e in pessime condizioni igieniche, vi arrivavano come se fossero già morti. Il treno li portava fin dentro al campo, e mentre scendevano venivano divisi a destra o a sinistra, e “destra” era direttamente la camera a gas. Chi andava a sinistra andava nei casermoni (senza acqua né corrente elettrica): le baracche erano grandi 2 o 3 volte una camera di appartamento, in cui vivevano 200/300 persone in letti a castello, più persone per letto. L’obiettivo dei tedeschi era quello di annientare psicologicamente (prima di farlo fisicamente) il detenuto, rendendolo esclusivamente un numero: togliergli i vestiti, rasargli la testa, trattarlo peggio di un animale. All’interno di Birkenau si vedono alcune postazioni-chiave: le baracche dove i detenuti dormivano, le latrine dove facevano i propri bisogni, la “sauna”, che non è quello che immaginiamo ma dove venivano svestiti e lavati per indossare poi il classico pigiama di tela. Si vede anche ciò che è rimasto dei forni crematori, fatti saltare in aria alla fine della guerra dai tedeschi.
Segue il momento di commemorazione vera e propria, in cui viene consegnato ai ragazzi un pezzo di stoffa e un pennarello; all’interno del blocco 6 ci sono su tutta la parete della baracca ci sono le foto di moltissimi detenuti: ai ragazzi viene chiesto di scegliere una persona segnando il suo nome sul pezzo di stoffa. L’obiettivo è spostarsi dalla legge dei grandi numeri, ovvero non parlare di “milioni di persone uccise”, ma di ricordare QUELLA persona e per un attimo ridargli dignità. Questa commemorazione viene fatta al monumento mondiale presente a Birkenau: su uno striscione con una frase “è successo una volta, quindi può succedere ancora” viene chiesto ai ragazzi di imprimere la propria impronta digitale (intinta nell’inchiostro), e di pronunciare il nome del detenuto scelto aggiungendo “Io ti ricordo”. Fatto da circa 500 ragazzi risulta essere un momento estremamente toccante. Ai ragazzi viene poi data una candela che viene accesa e posizionata all’interno del campo di Birkenau: molti usano metterla sui binari che ci sono all’interno del campo.
Il quarto giorno ogni gruppo si incontra per un lavoro di restituzione: si parte dalla raccolta delle impressioni dei ragazzi: non è che fanno effetto i campi di per sé, è quello che ci sta dietro che fa male. Birkenau in particolare è la “chiosa” di quello che può fare l’intelligenza, e di quanto può essere malvagio l’uomo: tremendamente e mortalmente efficiente.
Interessante è stata anche la riflessione sulle responsabilità internazionali riguardo all’Olocausto: ci sono delle foto datate 1943, due anni prima dell’effettiva liberazione: “perché non sono intervenuti due anni prima?”, si chiedono i ragazzi. Si cerca di spiegare loro che c’erano degli equilibri economici, politici e internazionali che non si potevano guastare facilmente: in qualche modo andava bene così, e le popolazioni non erano molto informate (a parte la radio e i giornali, che però venivano passati dalla censura). Quello che si cerca di trasmettere ai ragazzi, alla luce di questi aspetti, è OGGI di utilizzare lo strumento più ricco di informazioni (meno veicolate e filtrate) di cui siamo a disposizione: internet. Non esistono solo i social network, per certi versi molto filtrati e fuorvianti: c’è un mondo di informazione da scoprire su internet. E’ solo conoscendo che si può avere uno spirito critico su ciò che ci circonda. Prendendo spunto da Primo Levi abbiamo rivisitato e proposto al gruppo il concetto di “zona grigia”, ovvero tutta quella parte di persone e istituzioni che erano indifferenti a ciò che stava accadendo,  e che si giravano dall’altra parte. Quello che abbiamo fatto coi ragazzi è stato ragionare su come ridurre o distruggere la nostra personale zona grigia: dal compagno di banco che ha bisogno di una mano, a ciò che succede all’interno della famiglia, con gli amici, le fidanzate, fino ad allargare sempre di più il raggio ai fatti interni al nostro paese e alle politiche internazionali.”

Com’è stato il percorso dei ragazzi del tuo gruppo in queste giornate?

“Sicuramente di crescita. E’ strano come una persona possa prendere un po’ più di consapevolezza e portarsi a casa qualcosa di arricchente nel giro di soli cinque giorni. Si creano dei rapporti con le persone molto più profondi rispetto a com’erano prima di partire: è vero che si passano molte ore insieme e ci si conosce, ma è anche vero che nel momento in cui parte l’attività loro si rendono conto che non è la classica gita scolastica (anche se c’è una parte di divertimento). La reazione dei ragazzi è forte. Al mattino, dopo aver visto i campi, si fa un lavoro di gruppo; al pomeriggio ci si ritrova con tutti i partecipanti, ovvero 500, in un’assemblea plenaria in cui si fanno emergere le cose uscite nei singoli gruppi. Quello è un momento di confronto fra scuole diverse, città diverse, con un background diverso: vengono fuori dei concetti molto interessanti. Ho parlato con persone che hanno partecipato anni fa, che mi dicevano: “Una volta che vedi questa cosa ti rimane dentro”. Ragazzi che avresti facilmente definito “non tanto profondi” ti dimostrano che non sono così: questo voler sempre sminuire l’intelligenza e la cultura dei ragazzi non serve e soprattutto non è vero. Hanno tutti vissuto questa esperienza in maniera profonda, sana: hanno bisogno di questo tipo di esperienze. Certo, non possiamo comprenderlo del tutto perché non l’abbiamo vissuto, ma abbiamo un forte testimone in mano, perché gli anni passano e tutti quelli che hanno vissuto di persona i campi, sopravvivendo ad essi, stanno morendo. Prima di partire, presso il Teatro Nuovo, abbiamo incontrato un reduce, Ferruccio, che ha dato molti spunti di riflessione ai ragazzi. A loro diceva: “quando andrete su forse in parte potrete capire ciò che è stato”.

Perché continui ad accompagnare ragazzi a Cracovia tutti gli anni?

Per me la cosa importantissima è il provare ad attualizzare quello che è successo. Non vorrei che l’esperienza dei Treni della Memoria fosse fine a sé stessa: una volta rientrato a casa ognuno deve provare a continuare a lavorare su sé stesso per rendersi migliore: informarsi, prendere posizione, attivarsi come essere umano, come cittadino. L’esperienza del Treno deve esser un trampolino di lancio per impegnarsi di più a livello civile quando si torna: non si può più far sempre parte della Zona Grigia: da qualche parte ti devi muovere, delle cose le devi scoprire, altre sei obbligato a saperle. Ci sono un sacco di esempi attorno a noi, oggi nel 2013, dove si ripetono situazioni simili: ci sono posti dove i diritti umani vengono ancora negati, ci sono ancora segregazioni e leggi razziali, governi che ti controllano fin nella vita privata, bambini e disabili massacrati, anche solo lotte ingiustificate per la violenza che viene usata fra tifoserie diverse. Alla domanda dei ragazzi: “com’è potuto succedere?” rispondo con un’altra domanda, che può sembrare sciocca ma neanche così tanto: “uno della Juve sarebbe in grado di dire forza Milan?”. Ci definiamo tutti antirazzisti, ma se uscisse una legge che dice che da domani tutti i Rom presenti a Torino verranno espulsi, temo che la gente sarebbe felice. Bisogna preoccuparsi di questo. Durante i viaggi di andata del Treno della memoria che ho fatto in questi anni ho notato il fastidio o l’imbarazzo dei ragazzi a doversi sedere vicino a persone che considerano “diverse” (ciccioni, “strani”, persone con disabilità…): al ritorno gliene importa di meno, di fianco a chi sono seduti.

Com’è stato il loro rapporto con voi animatori del gruppo?

Principalmente siamo per loro un riferimento anche per quello che riguarda le questioni pratiche: dai problemi che ci possono essere con la lingua, alle differenze alimentari. Li abbiamo spronati a provare la cucina locale, piuttosto che andare al McDonald di Cracovia, ad esempio. Li abbiamo aiutati anche rispetto al cambio dei soldi, dato che in Polonia non c’è l’euro. Dall’altra parte ci viene chiesto un aiuto a rielaborare ciò che hanno visto, provando a mettere insieme i pensieri; ci sono sicuramente delle grosse lacune storiche, che si cerca di colmare con del materiale che viene fornito ai ragazzi da terra del fuoco, ad esempio un libro fatto dall’associazione dove si trovano date, aneddoti, eventi che possono aiutare ad avere una minima preparazione storica necessaria per affrontare il viaggio. Nei viaggi di andata e ritorno sono stati visti tre film: “Train de vie”, “V per vendetta”, “The experiment”; il lavoro sul pullman consisteva in un piccolo laboratorio di scrittura creativa dando la traccia di una persona (ebreo, militare delle SS, omosessuale etc) cercando di immaginare ed inventare la sua vita. Le frasi più interessanti di queste storie sono state poi condivise in assemblea: è vero che erano storie inventate, ma erano assolutamente plausibili. Questo dimostra che i ragazzi hanno una grande fantasia, un gran cuore: si tratta solo di guidarli e aiutarli a rielaborare. Molti chiedono di poter fare l’anno prossimo gli accompagnatori: è possibile, bisogna mettersi in contatto con Terra del Fuoco che durante l’anno seleziona i futuri animatori e li prepara. Molti ragazzi hanno espresso la voglia di rivedersi, una volta tornati, anche perché sono nate amicizie, sbocciati amori…

Torniamo al concetto di “responsabilità”: i tedeschi hanno avuto la capacità critica di prendersi la responsabilità di ciò che il loro Paese ha fatto. perché l’Italia e gli italiani faticano a prendersela, e anzi optano quasi per un revisionismo storico? I ragazzi che erano con te avvertivano questa responsabilità?

No, ma soprattutto per una questione di disinformazione: c’è ancora molto l’idea che il conflitto sia stato tra Ebrei (i bravi) e Tedeschi (i cattivi), mentre invece il ruolo di Mussolini fu davvero determinante; inoltre il concetto di bravi e cattivi è molto fuorviante, e se ne vedono i pericolosi strascichi oggi. Mi preoccupa che proprio in quest’Oggi si fatichi a prendersi responsabilità per quello che ci accade intorno, sia nella nostra quotidianità che a livello internazionale. Quando i ragazzi tornano, Terra del Fuoco organizza altri incontri, spesso legati ad altre associazioni e progetti, come ad esempio quelli antimafia di Libera. E’ molto importante un lavoro sulla paura del “diverso”. L’anno scorso i ragazzi del Fermi hanno rappresentato, presso il Centro Socioculturale di Ciriè, ciò che avevano provato durante il Treno della Memoria per i ragazzi delle quarte, per prepararli al viaggio che avrebbero fatto quest’anno.
Quest’anno avevamo tre professori, nel nostro gruppo: siamo stati molto fortunati quest’anno con loro, sono stati estremamente collaborativi e hanno vissuto anch’essi un esperienza molto forte (essendo la prima volta), altalenandosi nel ruolo di partecipante e in quello di aiuto-animatori. Non ci hanno ostacolato in nessun modo, pur avendo molte ansie (a causa della loro responsabilità nei confronti degli alunni): sono stati una risorsa preziosissima e ci tengo molto a ringraziarli.



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Link utili:

treno della memoria

Associazione Terra del Fuoco


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