giovedì 15 novembre 2012

HYAENA DESIGN E L'ARTE DELLA MODA CON GLI SCARTI INDUSTRIALI


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Hyaena Design, ovvero Sarha Nervo, 27 anni di Gassino, e Simone Milan, 26 anni di Robassomero.




Avete un’attività particolare: potete raccontarci di cosa si tratta e come è iniziata?

(Sarha) E’ cominciata con me, verso la fine del liceo: ho cominciato per passione a fare piccoli oggetti (borsette, accessori di moda) per me e le mie amiche. Poi quando hanno incominciato a arrivare sempre più richieste è maturata in me la voglia di farne una professione. Una mia cara amica, Ester, mi ha molto aiutata ad avviare quest’attività: insieme abbiamo cominciato ad andare al balôn (mercato delle pulci e dell’usato di Porta Palazzo, Torino n.d.r.) alla ricerca di materiale, tra cui pneumatici, da cui ricavo tuttora borse e bigiotteria. In un secondo momento le mie creazioni sono piaciute ad alcuni negozi di Piazza Vittorio, che hanno incominciato a vendere i miei prodotti; inoltre ho avuto la fortuna di viaggiare, soprattutto a New York per lavorare in un negozio, vendendo i miei prodotti anche all’estero. Tornata da New York, perché purtroppo il negozio ha chiuso, ho conosciuto Simone: inizialmente lui era scettico riguardo al mio lavoro, ma poi pian piano si è “preso bene”, e adesso mi porta materiale su materiale, non riesce a buttare via niente!



Cosa create e con quali materiali?

(Sarha) Inizialmente creavo solo vestiti e borse. Ora abbiamo allargato anche agli accessori in generale: bracciali, collane, sciarpe, bigiotteria. Più che gioielli, il cui termine prevede la manipolazione di metalli, creiamo monili. Mi sono avvicinata al materiale di recupero fondamentalmente perché all’inizio non potevo permettermi altro, poi proprio l’uso di questi materiali, tra cui anche scarti industriali, è diventata la mia vera e propria passione e tra l’altro ha fatto sì che mi iscrivessi in passato al Politecnico alla laurea triennale in Eco-design; un anno e mezzo fa ho deciso di fare la specialistica, della quale sto preparando proprio in questo periodo la tesi: tema è il futuro dell’artigianato. L’idea è legare l’artigianato alla tecnologia, sconfermando l’idea comune dell’artigiano come di una persona che sta nella sua botteguccia con chiodini e martello, in un mito che oscilla tra Geppetto e Giuseppe di Nazareth, ma dimostrare che è un professionista che può restare competitivo a livello di qualità e di quantità. Simone si occupa anche di allestimenti di fiere per una ditta: ogni volta torna a casa con materiali di recupero sempre nuovi che stimolano nuove idee. Ovviamente dobbiamo anche contare su materiali che non sono usati, a volte ce li facciamo anche preparare su misura, ma servono a compensare il prodotto finale che ha pur sempre una base di recupero. Il vestiario di per sé non è materiale di recupero, nel senso che le stoffe le compriamo, anche se spesso ci vengono regalate, ad esempio da una ditta che fa copriletto a Chieri, o da parenti e amici che, sapendo che siamo sempre alla ricerca di materiale, ci portano o ci fanno avere materiali di scarto di varie attività. In questo modo non vanno buttati e possono anzi essere ancora utili.



Prima parlavate di gomme, pneumatici… volete spiegarci come li riutilizzate?

(Simone) Partiamo dalle camere d’aria: semplicemente si va dal gommista a chiederne. Fino a un anno, un anno e mezzo fa i gommisti se ne sbarazzavano volentieri, perché in questo modo evitavano di pagare la tassa di smaltimento. Ora le cose sono cambiate perché, fortunatamente per l’ambiente, è nato un nuovo materiale per pneumatici che viene riutilizzato come una sorta di spugnato asfalto drenante (ad esempio quello utilizzato in parte della nuova strada statale che collega Borgaro e Venaria).  questo perché i materiali plastici dei pneumatici può essere di due tipi: termoplastico o termoindurente. Il primo si può fondere infinite volte senza perdere quasi per nulla la sua elasticità, mentre il secondo compone tutti i vecchi tipi di gomme o di materiali plastici ed è stato indurito tramite il calore, senza possibilità di farne altro (certo non fonderli di nuovo), se non spezzettarli. L’arte di creare oggetti con le camere d’aria è nata verso gli anni ’70 in Africa: e non si tratta solo di borse, ma di scarpe, ciabatte, infradito, elastici… Oltre all’introduzione dei materiali termoplastici al posto di quelli termoindurenti si aggiunge anche una sorta di attività, praticata soprattutto da extracomunitari che han bisogno di sbarcare il lunario, di compravendita di pneumatici e camere d’aria “vecchio stile”: tali gomme vengono poi triturate per comporre la pavimentazione gommosa dei parchi giochi. In questo caso ovviamente il gommista non ci pensa due volte a venderlo a loro piuttosto che regalarlo a noi, dato che ci guadagna due volte… Finora noi ci eravamo dedicati a quest’ultimo tipo di materiale per borse e zaini, ma è chiaro, fortunatamente, che andrà esaurendosi per lasciare il posto al più ecologico materiale termoplastico. Vedremo perciò di cercare altri materiali. Torniamo però alla lavorazione delle camere d’aria e degli pneumatici: dopo averle prese dai gommista le tagliamo in pezzi più piccoli e le laviamo infinite volte, rispettando la regola dei tre lavaggi. Il primo è quello con il sapone, per togliere la sporcizia; il secondo lavaggio è con un disinfettante ed un solvente, per rimuovere la parte di grasso presente; il terzo lavaggio è per togliere eventuali altri residui. Infine la gomma viene incerata perché rimanga bella lucida. Proprio stamattina abbiamo lavato 36 camere, tra camion e trattori…
Dopo aver incerato la gomma la si taglia ancora e si rifilano i bordi con il cutter, dopo di che si decide la forma che si vuole dare alla borsa: uno zaino, una borsa a tracolla e via dicendo… A quel punto si fanno gli ultimi tagli, decidendo dove andrà la patta, dove sarà posizionata la fibbia (disegnando tutto direttamente sulla gomma) e via dicendo. Infine si dovrà foderare la parte interna.
Oltre alle camere d’aria usiamo anche il linoleum per fare pochettes, collane, bigiotteria in generale.



Avete un laboratorio per tutte queste lavorazioni? Serve un grosso spazio?

(Sarha) Non abbiamo un grosso laboratorio dove lavorare, ma tanti piccoli spazi: ad esempio a Gassino dai miei c’è il mio vecchio laboratorio dove è presente un lavabo molto grosso ed utile per queste operazioni, per cui stamattina per il lavaggio siamo venuti qui.

Simone, il tuo percorso formativo e lavorativo invece qual è?

Il mio primo lavoro è stato al Robin Hood (storico live pub di Robassomero), per tre o quattro anni. Poi ho lavorato come panettiere/pasticcere, ma non sono mai stato pagato perché il titolare è scappato… Poi sono stato in Spagna per circa un anno, quando sono tornato ho fatto prima il postino, poi il tecnico luci ed infine ho conosciuto Sarha. Ora appunto lavoro in parte per allestimenti di fiere, e per il resto con Sarha; ogni volta che vado in giro per l’Europa per lavoro torno a casa con qualche “regalo” per il laboratorio.

Come si svolgono le vostre vendite?

(Sarha) Continuiamo a partecipare a mercatini, fiere e concerti con il nostro banchetto; in più continuano ad esserci diversi negozi di Torino interessati a vendere i nostri prodotti, come ad esempio il negozio di design “Collezione privata” in via San Secondo. Di recente al Cortile del Maglio è stato aperto un nuovo spazio che si chiama Laboratorio, un grosso negozio sotto al quale lavora un artigiano al quale aderiamo come Hyaena Design  e a cui vendiamo parte dei nostri oggetti: la grossa novità è che tra una decina di giorni dovremmo inaugurare il nostro negozio-laboratorio,  in via Galliani, zona San Salvario, il quale si chiamerà Hyaena Design, per l’appunto, dove venderemo quegli oggetti che non vogliamo siano venduti tramite altri negozi o tramite internet.



Come siete presenti sul web?

Abbiamo un sito, www.yenadesign.it, la pagina face book Hyaena Design e a breve anche un account su twitter, il tutto gentilmente gestito da una cara amica: noi infatti non siamo molto…social! Internet però resta comodo perché abbiamo molti contatti fuori Torino, lontani, e si utilizza il web per aggiornarsi. Inoltre molti nostri regali vanno all'estero.

Un’attività come la vostra richiede un grande investimento iniziale o no?

Inizialmente non c’è stato un grosso investimento, perché facevo pochi oggetti. Poi quando la produzione ha cominciato a crescere è altrettanto cresciuto in me il panico all’idea di dover comprare stoffe e altri materiali per star dietro alle richieste, e per questo, come ho già raccontato, mi sono inizialmente rivolta ai materiali di scarto: per risparmiare.
Di per sé l’investimento non è più di tanto grosso neanche ora, perché intanto la nostra produzione si è allargata: le spese del negozio sono certamente una preoccupazione, ma teoricamente col negozio il mercato dovrebbe a sua volta allargarsi, per cui speriamo di starci dentro. Proprio per ampliarci vorremmo anche comprare dei macchinari come il taglio laser e la stampante laser per i tessuti, stiamo aspettando il responso positivo per i finanziamenti da parte della Regione. Però fino ad adesso siamo andati avanti di passettino in passettino.

Quali sono i pregi e i difetti di lavorare in proprio?

(Sarha) I pregi: la libertà, il non dover rendere conto a nessuno di quello che crei – se non tra di noi quando guardiamo le nostre rispettive creazioni e le cassiamo! Simone ad esempio predilige i colori vivaci, mentre io punto sempre sul nero e grigio.
(Simone) Difetti? Se lavori in proprio e hai il laboratorio in casa non smetti mai di lavorare. Inoltre un artigiano che lavora in proprio non stacca come i dipendenti: meno lavori, meno guadagni, più ti senti in colpa. Questo atteggiamento dipende molto dal carattere di una persona: noi se stiamo fermi, soprattutto Sarha, ci sentiamo a disagio. Per questo la sera mentre guardiamo la tv facciamo collanine, o passiamo la domenica mattina a lavare pneumatici e camere d’aria. (Sarha) Quando andavo alle lezioni universitarie mi svegliavo alle sei per cucire borse, e quando tornavo dalle lezioni riprendevo a cucire borse fino a sera. Forse con l’apertura del negozio il pregio di avere gli orari che si vogliono non ci sarà più, ma la libertà artistica resterà.

A coloro che vogliono approcciarsi al mondo del lavoro mettendosi in proprio che cosa consigliate?

(Sarha) Di mandare il curriculum e cercarsi un posto da dipendente in un’azienda che ti assuma a tempo indeterminato, soprattutto se sei una donna!

Quindi ti stai pentendo del tuo percorso?

(Sarha) No, io sono contenta. Ho anche lavorato da dipendente per due anni in uno studio di architettura, mi sono trovata bene ma ho un carattere difficile: faccio fatica ad abbassare la testa e dire “si, va bene”, soprattutto quando si tratta di creatività e quando penso che l’alternativa che si da a ciò che avevo pensato io faccia schifo. Anche se prova a impormela il mio capo.
(Simone) Vale la pena mettersi in proprio? Dipende tutto dal lavoro che si vuole fare: se ad esempio qualcuno volesse aprirsi una falegnameria sarei il primo a dirgli di lasciar perdere, perché con tutti i supermercati del mobile come Ikea un falegname, anche se lavora bene e fa mobili di qualità, non può competere a livello di prezzi; a meno che non si riesca a fare un giro di clienti di nicchia, ma è molto difficile.
(Sarha) Mettersi in proprio in questo periodo di crisi, soprattutto se vendi prodotti, che siano alimentari, di vestiario, mobili, accessori etc., è molto difficile in questo periodo: la gente non ha voglia di spendere, foss’anche nell’agroalimentare biologico, ma ha voglia di risparmiare anche a discapito della qualità, in questo momento. (Simone) In più la pressione fiscale per gli artigiani è arrivata in molti casi anche al 70%: con quel 30% che ti rimane devi mangiare e pagare l’affitto, o il mutuo. Come si fa?
(Sarha) Io posso consigliare di gettare semmai le radici in attesa di tempi migliori, e di farlo negli ambiti del bio e dell’ecocompatibilità, soprattutto per quanto riguarda la ricerca, e non tanto nella produzione di oggetti. Puntare alla ricerca, senza dubbio: una piccola ditta che abbia tanta ricerca alle spalle, come ad esempio quel Consorzio che ha trovato il modo di creare asfalto stradale riutilizzando i pneumatici usati. Progetti che lavorano con gli scarti e coi rifiuti hanno modo di andare avanti, anche in questo periodo di crisi. Per il resto consiglio di buttarsi sui servizi, più che non sulla produzione: servizi legati alla persona (escludendo quelli che il web sta sempre più sostituendo, come ad esempio i servizi turistici) come ad esempio la fisioterapia, perché sono prestazioni che continueranno ad essere richieste.
(Simone) Io ad esempio lavoro anche da dipendente nel campo degli allestimenti delle fiere: i soldi ormai ci sono per le attrezzature degli allestimenti, ma non per pagare le persone che le montino, o comunque sono sempre in ritardo. Quindi, rispetto al mettersi in proprio, io in questo periodo non rischierei! Poi, per carità, se uno vuole provarci che lo faccia, è anche giusto buttarsi, ma certo l’Italia non è un paese che stia aiutando le imprese in questo momento. Il nostro consiglio è quindi quello di studiare, puntare sulla ricerca, non fare colpi di testa, chiedere consiglio a chi ha più esperienza (genitori, amici, persone che già lavorano nell’ambiente…) ed informarsi su tutto ciò che devono fare e li può aiutare: la Regione Piemonte ad esempio ha dei servizi molto utili, come lo sportello Mettersi In Proprio, il MIP.

Lavorare insieme ed essere una coppia è possibile?

(Simone) Fa tutto il carattere delle persone: lei ha una pazienza infinita e io anche, per cui possiamo discutere sul risultato finale di un prodotto, però finisce lì (anche se lei deve sempre avere l’ultima parola!). Scherzi a parte, è divertente e stimolante, perché, facendo molti lavori in serie (come ad esempio gli anelli con i tastini della tastiera del computer), da soli ci si annoia, mentre in due si chiacchera. Sotto Natale poi si produce di più in serie, ad esempio lo scorso anno abbiamo pulito un centinaio di camere d’aria, non trentasei come stamattina, proprio per portarci avanti il lavoro. La prima volta che crei un prodotto nuovo, come un borsa, sei emozionatissimo: quando però è l’ennesimo che cuci, hai perso la creatività e si tratta solo di fare in serie un’idea che è stata geniale ma che non ti da più emozioni.
(Sarha) Lavorare insieme è divertente, ma non solo: da una parte è anche stimolante a livello creativo, perché ci si da idee a vicenda, dall’altra a livello organizzativo ci si divide di più i compiti, come ad esempio parlare coi fornitori (cosa che io non amo fare mentre a Simone va più a genio farlo), od occuparsi della parte progettuale, che va più a genio a me. Insomma in due ognuno fa al meglio ciò che è capace di fare, mentre da solo devi improvvisarti a fare tutto, rischiando di scoppiare.




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