giovedì 29 novembre 2012

IMPARA L'ARTE E...

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Federica Nalin, 26 anni nata e cresciuta a Lanzo, ora residente a San Carlo. Dal Primo Liceo Artistico di Torino, all’architettura, alle collettive di pittori in giro per l’Italia e l’Europa.




Qual è la tua professione attualmente? Artista?
Vorrei tanto, ma non posso permettermelo! Sono laureata in architettura e lavoro per uno studio a Torino, filiale di una multinazionale svizzera: ci occupiamo di strutture temporanee, come ad esempio il cantiere della Bella Italia a Venaria Reale, che ho seguito io in quanto assistente project manager e graphic designer. Il mio lavoro mi piace, e soprattutto mi permette di comprare le tele e i colori per dipingere nel resto del mio tempo, e partecipare alle mostre collettive.

Com’è nata la tua passione per l’arte?
Ho sempre amato disegnare e dipingere. Ho lottato, dopo la scuola media, per poter frequentare il Liceo artistico a Torino: i miei genitori erano spiazzati, soprattutto all’idea che la loro “bambina” lasciasse i monti per andare a scuola in città… forse pensavano che avrei scelto una delle scuole superiori del territorio. Terminato il Liceo, che è stata un’esperienza bellissima, avrei voluto iscrivermi all’università a scenografia, ma i miei stessi professori mi hanno consigliato architettura. Ho comunque sempre continuato a dipingere; fino a 2 o 3 anni fa mi occupavo di opere su commissione: aerografie, trompe l’oeil, dipinti, quadri accademici per la scuola, ma non opere mie che tirassero fuori il mio estro. La prima volta in questo senso è stata nel 2009, quando ho deciso di partecipare a Paratissima con due miei compagni d’arte: primo quadro, prima vendita… Poi non ho più venduto nulla!

Posso sapere a quanto l’ha venduto?
1200 euro. Io ero totalmente inesperta in questo, anche perché non era mia intenzione andare a Paratissima per vendere. In quell’occasione ho chiesto consiglio a mia zia, che è una stilista ed artista di Milano (la mia impronta artistica è certamente venuta da lei!) e aveva visto come si erano organizzati con un costo al metro quadro degli artisti emergenti in una mostra a Sanremo, e così ho fatto io. Tra me e me mi sono detta che non potevo vendere quel quadro a meno di mille euro: ci avevo vissuto 3 giorni, durante Paratissima, raccontandone la storia e la creazione a chiunque me la chiedesse. Quando questo signore, un astrologo che sembrava Mago Merlino, mi ha detto di essere interessato al quadro, gli ho fatto la mia proposta, e alla fine ci siamo accordati.

Cosa raffigurava il quadro?
Era una composizione insieme geometrica e figurativa che riprendeva la Venere di Milo, reinterpretata però in chiave di vari concetti: la Vita, la Morte, l’Effimero…
Quando gliel’ho venduta ero molto contenta, ma dopo una settimana ho passato tutti i giorni a piangere: alla fin fine ho patito a staccarmi dalla mia creazione!



Questo secondo te può spingere degli artisti a creare dei quadri ai quali affezionarsi di meno, proprio nell’ottica di venderli?
Innanzitutto io non faccio quadri per venderli; ma anche se lo facessi penso che comunque mi ci affezionerei lo stesso: è una parte di te che si stacca, quindi non è facile. Vendere ovviamente ti permette di portare avanti l’attività, di comprare il materiale e farne altri; inoltre sai che il tuo quadro “vive” a casa di qualcun altro, e sarà ammirato e conosciuto da altre persone.

Forse un po’ come un figlio devi saperlo lasciare andare… Se ne avessi la possibilità vorresti che diventasse il tuo lavoro?
Quando mi ritrovo a pensarci provo sentimenti ambivalenti: da una parte mi piacerebbe che lo diventasse, dall’altra ho paura che possa diventare stressante e quindi di non avere più lo stimolo e le idee necessari. Forse se potessi scegliere un lavoro a livello artistico non penserei proprio ai quadri, quanto alle scenografie ed eventualmente all’areografia, che ho già fatto nella carrozzeria di mio padre e mio zio. Diciamo che un lavoro esclusivamente d’ufficio e al computer non mi piace molto, anche se è vero che ho introdotto l’uso di determinati programmi al PC per le mie opere (cosa che in passato non avrei mai immaginato che sarei arrivata a fare!).

Le tue aerografie in cosa consistono?
La prima areografia ho per fatto è stata per una Fiat 500, di proprietà un amico di mio padre patito dei raduni: si tratta di un Paperino “schiacciato” su un plexiglass che ti guarda dal lunotto posteriore. Poi ho aerografato qualsiasi superficie: caschi, carrozzerie e molto altro, su cui mi firmo “Fedart” (mentre sui quadri mi firmo per intero, Federica Nalin). Il soggetto lo scelgono i proprietari, a meno che non mi lascino carta bianca: ad esempio un ragazzo di Bardonecchia che ha aperto un locale ci ha portato la sua Dodge americana perché ci facessimo sopra delle fiamme: la macchina è arrivata a mio padre già tagliata a metà, con Andy Warhol e Marylin Monroe disegnati sul parabrezza. Siccome il committente voleva solo il muso della macchina per il suo locale, mio padre l’ha ulteriormente tagliata e intelaiata internamente perché la carrozzeria non rimanesse molle; poi l’abbiamo verniciata di nero (perché era giallo limone!) e disegnato le fiamme. In carrozzeria ho tutto quello che mi serve per fare delle areografie professionali, dai prodotti (prima solventi e adesso ad acqua fortunatamente, anche se esteticamente la resa ne risente un po’), ai materiali per carteggiare e stuccare, al forno…



Forno??
Si, certo: qualsiasi superficie areografata va cotta, anche le macchine.

Mettete le macchine in forno??
Si! Anzi, si lavora dentro al forno già mentre si areografa, perché il forno aspira le polverine che altrimenti si poserebbero sul disegno che stai andando a fare. La stessa aspirazione serve mentre copro il disegno finito con un prodotto trasparente che lo lucida.

In quali altri campi artistici spazi?
Ho fatto disegni per dei tatuaggi, la copertina di un libro (“Cerchi”, di Andrea Borla), murales, grafiche per tavole da snowboard…



Prima parlavi di collettive: cosa sono e come sono organizzate?
Tramite il mio lavoro a Venaria Reale per “La Bella Italia” ho conosciuto degli scenografi, una dei quali, Daniela Accorsi, è diventata una delle mie attuali curatrici. E’ stata lei a spronarmi a esporre: la mia prima esposizione è stata presso la galleria “Paola Meliga” a Torino. Trovare uno o più curatori per arrivare ad esporre le proprie opere alla fin fine avviene sempre tramite le “public relations” alle collettive: spesso si conoscono persone, dagli altri artisti, con cui ci si confronta, ai curatori, ai quali si fa vedere il proprio book o il proprio sito o blog, come faccio io. Proprio in questa maniera ho conosciuto un’altra curatrice di Milano, Barbara Vincenzi, che si è interessata ai miei quadri; tramite lei ho incontrato Daniel Buso, un critico di Treviso tramite il quale ho partecipato sia l’anno scorso che quest’anno ad una rassegna contemporanea, e via dicendo. Le collettive sono mostre che durano dalle due alle quattro settimane, composte di opere di più artisti; rispetto alle mostre personali (che ti portano via quasi uno stipendio!) costano molto di meno: si paga l’affitto dei locali, il vernissage (ovvero l’organizzazione dell’evento da parte del curatore: l’inaugurazione, i volantini, la pubblicità, il catalogo…). Gli artisti alle collettive portano solitamente uno o due quadri a seconda delle dimensioni. Indicativamente per partecipare ad una collettiva si spendono 100, 200 euro, più le spese per il corriere (sperando che non ti rompa nulla e purtroppo a me è già successo!) se la mostra è lontana (io ad esempio sono stata a Venezia, Roma, Bologna, Milano…). Una delle più importanti a cui ho partecipato è stata la 54° Esposizione Internazionale d’arte della Biennale di Venezia” allestita nella Sala Nervi del Padiglione Italia a Torino a cura di Vittorio Sgarbi. Per il resto alcune mie opere sono esposte in modo permanente (insieme a quelle di tre o quattro altri artisti tra cui lo scultore di Corio Maxo della Rocca) nello spazio della mia curatrice a Torino, lo Spazio Accorsi: ogni mese circa posso scegliere se cambiarle con altre mie opere per farle ruotare un po’, e pago una sorta di “affitto” del mio spazio; l’obiettivo di Daniela Accorsi è quello di cominciare a vendere le nostre opere. Alcuni dei miei quadri sono lì, altro qui in garage e altri ancora appesi a casa mia: spesso però rimangono le pareti vuote col classico segno bianco perché li spedisco a qualche collettiva! Un altro canale per farsi conoscere sono i concorsi d’arte: ad esempio il concorso di Cairo editore, che ho scoperto sulla rivista “Arte”, o un concorso della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo…



Quanti quadri hai all’attivo? E qual è il tuo stile?
Più o meno una ventina: sembrano pochi, ma io li faccio molto grossi. Ad esempio ho un trittico, ovvero tre pannelli, di 160x70 cm ciascuno… il più grande che ho fatto in altezza arrivava a 2 metri. Tra l’altro non ho modelle su cui lavorare né tantomeno un atelier (bensì il garage dove giocavo con mio fratello da piccola!), per cui di solito per le figure umane fotografo me stessa e poi parto col quadro. Io gioco molto con le composizioni, sicuramente grazie all’impostazione di architettura, ma senza scivolare nell’astratto, almeno per ora; io amo il figurativo, per cui è sempre presente la figura umana, perché per me è il bello del quadro. Inoltre gioco molto con le cornici, che spesso vanno anche oltre al quadro, e mi è capitato di fare delle figure al computer (con Photoshop, ad esempio), di farle stampare sulla tela e poi di lavorarci sopra a mano.
Hai altre passioni?
Adoro cantare e soprattutto fare le seconde voci: il primo gruppo rock blues in cui cantavo erano gli ZTL plas, ora sono corista nel gruppo SUPERGIOVANI, una cover band di Elio e le Storie Tese, anche se il mio cuore è rimasto rock-blues!

A cosa stai lavorando adesso?
Ho diverse tele vuote che mi attendono! Come ho già anticipato sto lavorando a quadri di dimensioni più piccole,  per questioni di spazio e di soldi. Finora sono stata molto incentrata sulle donne calve: senza capelli, non perché malate ma per far risaltare il più possibile il loro volto e i loro lineamenti, che io trovo essere la vera bellezza; una cosa che non ho mai provato, seppur in alcuni miei trittici le figure femminili abbiano dei tratti cupi, mascolini, è di affiancare alle mie figure femminili una maschile. Questo è il mio obiettivo per il futuro.



Contatti:

 blog www.fedart.blogspot.it.

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